Riconosco ad Adriano Castagnone,
presidente dell'AIST, la capacità di aver tentato l'impossibile:
coagulare cioè le software house che operano in ambito tecnico.
Purtroppo la specificità di queste
aziende e la loro stretta appartenenza al “sistema ingegneria”
con tutte le sue contraddizioni, rende impossibile questo coagulo
benché ce ne sarebbe una estrema necessità.
Però, se si deve sempre riconoscere il
merito di chi si è prodigato per tentare strade pur difficili, si
devono anche saper riconoscere i fallimenti che, nel caso specifico,
non sono dovuti né al direttivo dell'AIST né ai soci, ma alla
debolezza del mondo dell'ingegneria con la sua, in sintesi, mancanza
di generoso ampio respiro.
Ora l'AIST, che pur tanto ha fatto per
dialogare con le istituzioni, non è riuscita a mio avviso ad
ottenere alcun risultato: la recente bozza di revisione della
normativa non ha recepito neanche una delle osservazioni portate
dall'AIST per ottenere una maggior chiarezza che potesse portare ad
una miglior informatizzazione.
Le software house non devono cercare di
entrare in un sistema clientelare, ma devono ad ogni costo restare
indipendenti perché si occupano di problemi tecnico-scientifici e
non burocratici e quindi hanno una strada maestra che non può e non
deve scendere a compromessi. Eppure oggi le softwarehouse in questo
settore sono strategiche, ma poiché sono indipendenti non le si
VUOLE considerare. Questo l'AIST avrebbe dovuto con fermezza
affermare.
La nascita del SIERC in Calabria e tra
breve nel Lazio di un'analoga ma ovviamente diversa procedura, è una
sciagura per i progettisti che chiederanno la soluzione alle software
house le quali, in questo periodo, non possono obiettivamente,
investire per realizzare 20 diversi sistemi di comunicazione con la
pubblica amministrazione. Ovviamente non si cerca la strada maestra e
cioè coinvolgere chi da anni fa software per ingegneria, ma si
cercano altre strade. Questo AIST lo avrebbe dovuto denunciare con fermezza.
Quindi si assisterà al solito
“dumping” cioè a quel “gioco” in cui le software house,
essendo per la quasi totalità amministrate da persone che fanno
anche la libera professione di progettisti, da questo ambiente
prendono l'insana capacità di deprimere il mercato, di giocare al
ribasso e sostanzialmente di farsi male da sole.
Questo io volevo dall'AIST: la
manifestazione dell'orgoglio del nostro lavoro, non l'appiattimento
su posizioni morbidamente concilianti che si esplicitano nella
facciata di “congressi” totalmente inutili se non dannosi.
Credere che gli esponenti delle istituzioni che partecipano ad un
nostro congresso diano una luce che ci illumini agli occhi dei nostri
clienti vuol dire manifestare la certezza che di luce propria non si
possa proprio brillare. Questa non è la convinzione di Softing.
Purtroppo ho anche dovuto constatare
che in AIST, salvo le ovvie naturali eccezioni, non vi è
istituzionalmente quella formazione informatica che ci si
aspetterebbe. La “validazione”, ad esempio, punto focale del
problema di una informatica legata ad una normativa-legge, su questo
punto è stringente benché confusa ed esula dagli obiettivi dell'AIST.
Francamente ho sempre rifuggito le
facili ribalte, soprattutto se partecipate da esponenti istituzionali
perché non credo che oggi vi possa essere un dialogo. Ormai lo Stato
è ridotto ad un'entità astratta con la quale, quasi per
definizione, il dialogo è impossibile. Chi è lo Stato? Con chiunque
parlerete tra coloro che lo rappresentano vi sarà sempre un'entità
superiore che lo deresponsabilizza fino ai vertici massimi che
rimbalzano in giù la palla perché sono troppo in alto per sapere.
Quindi lo Stato non c'è, e dialogare con un'entità che non c'è non
mi pare dimostrazione di sanità mentale a meno che non si voglia
entrare a far parte del gioco, dei palleggiatori intendo, ma questo
non è il mio stile, non è lo stile della Softing né, credo e
spero, quello dell'AIST.
Pertanto, se dopo due anni di nostra
permanenza nell'AIST non vi è stato alcun progresso né di dialogo
con le istituzioni né di maggior coinvolgimento di altre software
house, io credo, pur con il massimo onore delle armi, sia opportuno e
dignitoso ammettere il fallimento.
Noi, comunque, ci abbiamo provato ed
abbiamo anche partecipato con entusiasmo ed attivamente. Questo è
quel che conta.
Auguri, in ogni caso, all'AIST per il
successo che meriterebbe.
Arch. Roberto Spagnuolo, Amministratore Unico, Softing Srl